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Ilaria

Mi chiamo Ilaria Cuomo, ho 28 anni, vengo da Gragnano (Na) e sono un’insegnante precaria di lingua straniera. Il mio viaggio in Sud Africa è nato da un forte desiderio che mi accompagna, da quand’ero bambina, di vivere un’esperienza di volontariato in una realtà difficile come quella dei paesi del sud del mondo.


La scelta del  Sud Africa è stata dettata oltre che dal profondo interesse e dall’amore che ho sempre avuto per quella terra, di cui avevo precedentemente  visitato alcuni luoghi e apprezzato la gente, anche da un senso di responsabilità che, in quanto cittadina europea, sento di avere per le difficili condizioni in cui certe popolazioni, purtroppo, ancora oggi vivono.

I primi giorni a Oudhtsoorn sono stati di conoscenza delle varie attività di cui si occupano le suore e di non facile adattamento al freddo clima della città. La settimana successiva l’ho trascorsa in casa famiglia con Lizel (la più grande dei bambini) che non è andata a scuola poiché c’erano le vacanze scolastiche e con la piccola Jasmine. Le mattine trascorse con Lizel mi hanno dato modo di conoscerla più a fondo e anche se ho constato il suo non facile carattere, che mi sembra anche normale se penso a tutto ciò che ha vissuto, mi hanno anche fatto apprezzare la sua dolcezza,  la sua grande capacità di far divertire i bambini e di proteggerli.

Per quanto riguarda  il mio ruolo all’interno di casa famiglia ho cercato  di aiutare Mariza, l’educatrice dei bambini, in tutto ciò che riguardava la cura dei piccoli: ho giocato con loro, li ho cambiati, ho fatto loro il bagnetto e di sera, insieme all’instancabile suor Teresa, li accompagnavo a letto per le ultime coccole. Devo dire che, soprattutto i primi giorni, non è stato facile accudire i bambini visto che alcuni di loro avevano gli organi genitali ustionati, chiazze sulla pelle a causa della mancanza di cure da parte della loro famiglia.

Nei giorni successivi suor Teresa ha accompagnato me e Maria a visitare alcune delle famiglie più povere del villaggio, cui ho regalato alcune cose. Queste famiglie ci hanno accolte con piacere, erano contente della nostra visita e soprattutto di rivedere Suor Teresa che, almeno una volta alla settimana,  cerca di andarle a trovare anche solo per ascoltare e offrire un po’ di conforto. Ho notato come alcune di esse vivevano la povertà con dignità, cercando di darsi fare, di prendersi cura della casa e dei propri figli, realtà, purtroppo, non  molto comune a Briston; in altre, invece, ho constatato come la povertà materiale sia spesso accompagnata dalla povertà morale, sociale, spirituale.

La seconda settimana l’ho trascorsa a Casa Betania, il centro che accoglie i  bambini denutriti (da poche settimane a 4-5 anni) e, a turno, le loro mamme; la struttura è aperta da marzo e attualmente funziona dal lunedì al venerdì dalle 08:00 alle 15:30. Nel periodo in cui c’ero io ospitava sette bambini con le loro mamme più i tre di casa famiglia. Il progetto è quello di seguire i bambini finchè migliorano le loro condizioni di salute attraverso un’alimentazione corretta, un ambiente caldo e pulito; il centro opera in collaborazione con la clinica della città. Le mamme che a turno frequentano il centro imparano ad occuparsi dei loro piccoli, a lavorare a maglia, a ricamare, grazie anche all’aiuto di volontarie del luogo. Suor Jinny che è a capo di questa struttura si sta impegnando anche nell’offrire loro corsi con personale specializzato in vari ambiti: medico, sanitario, psicologico. Nei giorni trascorsi al centro ho cercato di dare un aiuto intrattenendo i bambini con giochi, canzoni, balli e aiutandoli al momento del pranzo. Per quanto riguarda il rapporto con le mamme, all’inizio si sono mostrate poco accoglienti nei miei confronti, se ne stavano sedute a chiacchierare tra loro senza un minimo di interesse o di curiosità nei miei confronti. Pian piano, col passare dei giorni il loro atteggiamento è un po’ mutato; abbiamo scambiato qualche parola in inglese e a volte anche scherzato e riso insieme. Purtroppo, queste donne bevono quasi tutte, ma  quando si presentano al centro ubriache, come a volte è capitato,  suor Jinny non consente loro di entrare, in tal caso riceve solo i bambini, si tratta proprio di una delle regole del centro che esse stesse conoscono.

L’alcolismo è un problema molto diffuso in sud Africa e da quanto ho compreso non ha età, sesso. Oltre all’alcolismo altre piaghe di questo paese  sono l’AIDS e la tubercolosi, frutto dell’estrema povertà, dell’ignoranza e della mancata osservanza delle minime condizioni di igiene.

Durante la mia seconda settimana a Oudhtsoorn è arrivata dalla vicina cittadina di George una bambina, Miguelle, di circa 2 anni, magrolina ma sempre col sorriso sulle labbra. Con lei aveva solo un orsacchiotto… Dal primo istante che l’ho vista mi ha colpito la sua solarità, nonostante si trovasse in un ambiente che per lei era nuovo. La terza ed ultima settimana l’ho trascorsa nella scuola materna. Mi riesce difficile descrivere a parole l’accoglienza, il calore, l’affetto che ho ricevuto da questi bambini. Dal primo istante che mi hanno conosciuta mi si sono letteralmente appiccicati addosso, senza che io avessi dato loro caramelle o altro. A volte mi risultava difficile persino giocare: se mi sedevo non riuscivo più ad alzarmi visto che erano sulle ginocchia, aggrappati ai pantaloni, alle felpa o alla borsa che indossavo; oramai ero diventata anch’io una di loro visto che i bambini mi chiamavano “Jafrau” che in italiano significa maestra. Sono certa che non dimenticherò mai l’affetto e le attenzioni che ho ricevuto da loro.

Sempre nell’ultima settimana sono stata anche al nasorg ovvero all’oratorio, dove insieme alle suore e ad alcune volontarie del luogo mi sono occupata di far giocare i bambini, di distribuire un pasto caldo. In quest’occasione, come nelle altre vissute a Oudhtsoorn,  ho incontrato bambini molto calorosi e accoglienti, pronti a saltarmi in braccio, a giocare e soprattutto a farsi fotografare, quest’ultima era la loro passione, a prescindere dall’età, dal sesso.

Durante la mia permanenza a Oudthsoorn ho partecipato anche a dei momenti di preghiera vissuti con le suore e alla messa. Nelle celebrazioni cui ho assistito ci sono stati dei gesti che mi hanno molto colpito, come quando ho visto i sacerdoti attendere i fedeli fuori dalla chiesa per salutarli uno ad uno o quando nella chiesa di Briston, l’ultimo giorno del mese,  il sacerdote, al termine della celebrazione eucaristica, ha fatto  gli auguri a tutti coloro che in quel mese avevano compiuto gli anni, invitandoli all’altare per la benedizione. Inoltre la prima domenica che sono andata a messa il sacerdote ha presentato me e la mia amica alla comunità che ci ha accolte con un caloroso applauso.

Dire cosa mi resta dentro a conclusione di questa meravigliosa esperienza mi risulta difficile, tante sono le sensazioni, le emozioni, i ricordi, belli e brutti. È stato sicuramente un viaggio che mi ha dato tanto, che ha arricchito il mio spirito, la mia persona e che mi ha aperto lo sguardo su aspetti della vita e su realtà che prima non conoscevo o meglio potevo solo immaginare. Tra i lati positivi di quest’esperienza mi resta sicuramente l’amore e la gioia che ho ricevuto dai bambini, che non potrò mai dimenticare, e l’esempio di vita che mi hanno dato le suore per il modo in cui si dedicano ai piccoli e ai poveri della città, rappresentando per essi un punto di riferimento fondamentale sotto tutti i punti di vista (morale, materiale, psicologico) rispetto a quelle che sono le loro possibilità.

Tra gli aspetti negativi c’è la preoccupazione per quello che sarà il futuro di quella gente e soprattutto dei piccoli una volta che andranno via dalla casa delle suore e saranno affidati ad altre famiglie o reinseriti in quella d’origine, anche se si spera che l’obiettivo sia quello di una vita serena e ricca di amore.

Infine ringrazio, prima di tutto,  il Signore per avermi dato la possibilità di vivere un’esperienza così importante e poi tutte le persone con le quali ho condiviso un pezzetto della mia strada che vivrà con me per sempre.

Ilaria


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