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Maria

Ho sempre desiderato fare un’esperienza di volontariato all’estero e nel corso degli anni, sentendo anche tanti ragazzi che hanno vissuto quest’esperienza in modo positivo, mi sono sempre più convinta che un giorno l’avrei fatta anch’io. Non ho mai trovato il coraggio di prendere l’iniziativa, finché ho saputo che una mia collega andava da anni in Costa D’Avorio, così le ho chiesto informazioni; lei mi ha dato il volantino per partecipare agli incontri di Solidarietà per Azioni con testimonianze di volontari andati in missione l’anno precedente: da lì non ho avuto più dubbi, volevo partire a tutti i costi.

Prima di tutto ho cercato una compagna di viaggio e sono riuscita a trovarla agli incontri per i volontari; poi insieme abbiamo prenotato la partenza per il 27/06/2009. Sfortunatamente lei si è ammalata e non è potuta più venire. Io sono andata in panico (il mio primo viaggio fuori dal continente): non riuscivo a decidere il da farsi, avevo paura ad affrontare tutto da sola ma non volevo rinunciare, così mi sono fatta coraggio e sono partita.

Il viaggio è stato lunghisimo ma ne è valsa la pena…

In aeroporto, sono venute a prendermi suor Teresa e Lizel, una bambina di 11 anni della casa famiglia, che aveva una storia un po’ dura alle spalle. Ero tanto emozionata e spaesata, ma suor Teresa mi ha accolto come se mi  conoscesse da sempre, così subito ha iniziato a parlarmi di ciò di cui si occupano le suore in Sud Africa e dei bambini presenti in casa famiglia. Lizel intanto ha cercato subito di fare amicizia con me attirando la mia attenzione in tutti i modi.

Quando siamo arrivati a casa, è stato bello, finalmente, conoscere suor Marina e incontrare tutti gli altri bambini che mi ero immaginata nei giorni precedenti al viaggio e di cui suor Teresa aveva cercato di farmi un quadro generale durante il tragitto dall’aeroporto a casa…

C’erano Jason e Celin di tre anni, che subito hanno iniziato a giocare con me; poi c’erano Jasmine, che aveva solo otto mesi e dei capelli arruffati, e Jefferson di due anni, che all’inizio era un po’ sulle sue.

La settimana successiva sono stata in casa famiglia coi bambini

perché suor Teresa, che si occupa della casa, aveva tante altre faccende da sbrigare fuori. Mi è stato riferito che Jefferson aveva la tubercolosi ma di stare tranquilla perché non poteva contagiare gli adulti; io all’inizio sono stata un po’ diffidente e cercavo di tenere le distanze da lui, ma poi non ci sono riuscita perché era così affettuoso e quando si buttava addosso per farsi coccolare non riuscivo a fare altro che fargli tutte le coccole che gli erano state negate e che adesso sembrava pretendesse…

Con Lizel si era creato un buon rapporto: anche se tutti dicevano che, soffrendo di schizofrenia, aveva delle reazioni pericolose anche verso gli altri bambini della casa, devo dire che per tutto il tempo che sono stata lì non ho mai visto reazioni esagerate nei confronti miei e degli altri. Ragionando su questi episodi anche con le suore siamo arrivate alla conclusione che, essendo arrivata da sola e non con altri volontari, si è instaurato un tipo di rapporto “diverso” con tutti, grandi e piccoli, perché mi sono “aperta” completamente a loro.

Col senno di poi, posso dire che sono stata felice di essere partita da sola.

La seconda settimana sono stata al centro denutrizione. L’impatto è stato forte: lì i bambini erano accompagnati dalle mamme, che da subito mi hanno trasmesso una forte impressione di resistenza nei miei confronti, tanto che al pomeriggio mi sono rifiutata di tornarci. Eppure ci sono tornata il giorno successivo e per tutta la settimana, distendendo così pian piano tutte le tensioni al punto che l’ultimo giorno, quando suor Jini ha detto loro che non sarei più andata perché dovevo ripartire, ci sono stati dei grandi abbracci e saluti, ma anche richieste di lasciar loro i miei vestiti…

Poi è arrivata anche Ilaria, e suor Teresa ci ha portato in giro per le “case” di famiglie bisognose a portar conforto e qualche bene primario.

Quello che mi ha colpito di più è stato vedere “l’uomo bianco” che vive in centro città e se la passa bene, e sembra non si renda neppure conto che se ci sono tante persone in condizioni estreme di povertà è solo perché lui è arrivato lì prendendo tutto e relegandole in periferia, togliendo  loro qualsiasi diritto di vita…

In realtà è vero quando ti dicono che un’esperienza del genere serve più a te che a loro: ti  dà tanto… vedere l’accoglienza e la generosità di persone che non hanno niente. Toccare con mano le condizioni di vita di milioni di persone ti rende più sensibile agli sprechi di noi del “primo mondo”; infine, anche se ho già dimenticato qualche nome, credo che non dimenticherò mai gli occhioni di tutti quei bambini che ti danno e ti chiedono tanto affetto.

Maria


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